Un fortunato slogan ci insegna che "votiamo ogni volta che andiamo a fare la spesa". E' un modo sintetico per dire che le nostre scelte di consumatori sono in grado di orientare l'economia, o almeno parte di essa. Usando questo potere, ci dicono, possiamo cambiare il mondo. Una volta imparata questa lezione ci rimane solo da capire un dettaglio: come dobbiamo votare per ottenere il miglior risultato?
Paolo Rumiz, di Repubblica, ha provato a vivere una settimana adottando uno stile di vita così sobrio da ridurre al minimo la produzione di CO2: niente auto, poco cibo e tanti prodotti locali.
E' la filosofia che anima i Gruppi di Acquisto Solidali, mi pare: persone che si organizzano e comprano da produttori locali, in modo da evitare quella follia ambientale per cui i nostri piatti sono pieni di prodotti che hanno fatto il giro del mondo consumando benzina, gasolio e kerosene e riempiendo l'atmosfera di anidride carbonica. L'imperativo é: per salvare la terra bisogna consmare prodotti locali.
Eppure mi rimane un dubbio: come si aiuta lo sviluppo dei paesi poveri se non sostenendone le esportazioni? Oltre all'imperativo "localistico" ce ne é un altro "terzomondista": bisogna aiutare i produttori dei paesi poveri ad avere un accesso al nostro mercato. E' la filosofia delle botteghe del commercio equo e solidale, ma non solo. E' anche la posizione dei "liberal" che si battono contro il protezionismo dei paesi ricchi, che tengono in piedi sussidi e dazi per proteggere i produttori locali dalla concorrenza internazionale.
Ma insomma, mi chiedo. Il commercio internazionale va incentivato o dissuaso?