mercoledì 27 settembre 2006

Esiste un diritto al suicidio?


Premessa di carattere personale
Si tratta di un processo per certi versi doloroso.
Pensare, intendo.
Cercare di arrivare ad un giudizio su cosa è bene e cosa è male quando ci sono elementi e principi in lotta tra loro. Mettere insieme le idee, dividerle in due campi opposti e poi farle scontrare per vedere come va a finire. E’ tanto difficile che ti verrebbe voglia di pensare ad altro, lasciare perdere, chi me lo fa fare. Non sono mica il parlamento io. E anche se arrivo ad una soluzione? Cosa cambia?
Niente cambia.
Però me lo devo chiedere se l’eutanasia è giusta o non. Me lo voglio chiedere dal punto di vista di un cattolico quale, tra le altre cose, sono. Per il resto vi chiedo di aiutare, in un modo o nell’altro, la mia riflessione.


La domanda
Chiedersi se un uomo possa decidere di darsi la morte in condizioni di sofferenza è una questione mal posta. Anche se decidessimo che è giusto rimarrebbe da decidere quale sia il grado di sofferenza che abilita a prendere la decisione. E quanta sofferenza potrebbe essere considerata “abbastanza”? Il limite é vago, indeterminabile. Non vale neanche chiedersi se sia giusto darsi la morte quando non ci sia più speranza di guarigione. Intanto perché le prognosi, anche quelle infauste, sono spesso probabilistiche. Inoltre perché la malattia può pure avere un decorso letale, ma questo può essere breve, lungo o lunghissimo. Non é questa la strada. La domanda ben posta é più radicale e brutale.
Un uomo può disporre della sua vita? Può decidere di darsi la morte? In termini polemici, esiste un diritto al suicidio? La mia risposta, seppure provvisoria, è si.

Il ragionamento
La risposta cattolica é no. La vita é un dono di Dio, é sacra, e noi non possiamo disporne. Il comandamento “non uccidere” implica anche la non liceità di uccidere se stessi. Pietra tombale sopra l’aborto (a condizione che l’embrione sia un essere umano, certo), la pena di morte e l’eutanasia. Non sulla rinuncia a cure che si configurano come accanimento terapeutico ma questo, almeno in linea di principio, è un altro discorso.
Anche il diritto di molti stati occidentali sembra riconoscere la validità del comandamento biblico, tanto da tramutarlo in legge. Uccidere è sempre vietato e punito, anche se esistono delle eccezioni più o meno grandi.
Eppure il suicidio, l’uccisione di se stessi, non è punito. E non certo per la ragione che superficialmente parrebbe ovvia. Infatti non è punito neanche il tentato suicidio. Se io provo ad uccidermi e non ci riesco magari finisco in psichiatria, ma non davanti al giudice. Se provo ad uccidere qualcun altro e non ci riesco finisco dritto in carcere. Perché questa differenza?
Perché il divieto di uccidere che è prescritto dalle nostre leggi non viene dal comandamento biblico ma da un principio liberale. Ogni essere umano ha un diritto di proprietà sulla sua vita, ed è libero di gestirla come vuole finché la sua libertà non urta quella di un’altra persona. Portato alle logiche conseguenze questo vorrebbe dire che se un uomo decide consapevolmente e liberamente di rinunciare alla propria vita, per qualsiasi motivo, deve essere capace di farlo. Quello che non può fare è disporre della vita di un altro uomo.
Per un cattolico questo ragionamento non vale. E non vale perché è diverso il punto di partenza: un cattolico non crede di avere un diritto di proprietà sulla sua vita. La vita appartiene a Dio, e suicidarsi è moralmente sbagliato come uccidersi, è un peccato.
Ma su quale base un cattolico può volere che questa legge morale sia anche legge dello stato, cioè vincolante per tutti i membri della comunità politica?

La mia risposta (provvisoria)
Legge morale e legge dello stato non sono la stessa cosa. Noi che crediamo nella separazione tra stato e chiese abbiamo abbandonato la pretesa che tutte le leggi morali siano anche leggi dello stato. Non chiediamo che la vendita di contraccettivi sia messa al bando, non chiediamo che “il desiderio della roba d’altri” sia punito con un ammenda di 10.000 euro. Però siamo tutti d’accordo nel proibire il furto e l’omicidio. Dove sta la differenza? Quale linea possiamo tracciare tra le norme morali che devono avere validità di legge e quelle che devono restare solo morali? La linea è quella liberale: solo i comportamenti che danneggiano l’altro sono vietati. Gli altri rimangono moralmente illeciti, ma uno stato non può vietarli senza diventare uno stato-etico. E che una democrazia-etica sia indesiderabile lo pensiamo tutti, credo, dato anche che non abbiamo nessuna garanzia che l'etica della maggiornaza sia sempre la nostra.

Conclusione altrettanto provvisoria
Se lo stato non può disporre della mia vita non può né uccidermi né impedirmi di rinunciare alla vita. Da cattolico io deciderò di non rinunciare alla mia, ma non ho alcun diritto di imporre agli altri questa mia scelta. Non ho il diritto di imporre agli altri l’indissolubità del matrimonio, ma ho il diritto di difendere la vita del condannato a morte o del bambino che sta per nascere. Il problema dell’eutanasia così è sorpassato alla radice: eutanasia si se sono io a chiedere di morire, eutanasia no se io non ho espresso questa volontà.

Rimarrebbe da discutere quali siano le condizioni per cui la decisione possa considerarsi libera e consapevole ma anche questo, mi pare, è un altro discorso. Chi volesse una buona panoramica del dibattito filosofico e giuridico intorno al diritto a morire puo' visitare questa pagina.